Come un cane problematico mi ha permesso di realizzare un sogno: diventare educatore cinofilo
Quando l’idea di portare a casa un cane si concretizza, la prima cosa che provi è senz’altro immensa gioia. Ma quando quelle che credevi fossero delle semplici priorità e responsabilità si trasformano in veri e propri problemi, allora tutto può diventare un incubo.
Contents
La mia passione per gli animali
Fin da piccola sono sempre stata attratta e affascinata dal mondo animale: mio nonno era un cacciatore e il suo fedele compagno di vita era un Pointer bianco e arancio di nome Jenny. Probabilmente è stato lui a trasmettermi la sua stessa passione, che non esternava andando a uccidere povere bestie senza cognizione come gli animalisti oggigiorno sostengono della categoria, paragonandola ai bracconieri, ma facendomi conoscere tante specie differenti, a partire dai cani fino ad arrivare agli insetti e alle piante.
Uno dei primi libri di cui ho memoria e che ancora conservo gelosamente è un’enciclopedia degli uccelli d’Italia e le due prime parole “complicate” imparate a sei anni furono etologia ed educatore cinofilo.
Sì, perché ciò che ho sempre sognato era quello di poter fare l’etologa o di lavorare con i cani: purtroppo, a parte mio nonno, la mia famiglia non era mai stata convinta né ha mai preso sul serio la cosa, costringendomi poi, una volta cresciuta, a seguire altre strade completamente differenti.
“Non è di moda”, “pensa alle cose serie”, “devi studiare e trovare un vero lavoro”, “quello che vuoi fare non è remunerativo”, dicevano, e alla fine in qualche modo hanno avuto la meglio, fino a quando non è arrivato Forrest.
Prendiamo un cane?
Quando finalmente sono andata a vivere con il mio compagno, lontana dalla mia città d’origine, probabilmente fu l’egoismo a parlare, la depressione o la poca voglia di continuare a studiare, ma decisi che avremmo dovuto prendere un cane a tutti i costi.
All’epoca eravamo in affitto e avevamo già una gatta in età avanzata, ma sentivo che portare a casa un cucciolo e prendermi cura di lui mi avrebbe in qualche modo sollevato lo spirito, avrebbe migliorato il mio umore e finalmente, forse, avrei potuto fare qualche attività cinofila con lui.
Guardammo dunque su internet le varie possibili razze compatibili con i felini: io sono sempre stata un’amante dei braccoidi e dei cani da caccia in generale ma non era facile trovarne uno che avesse un istinto predatorio poco sviluppato.
Fino a quando non compare la descrizione di un dalmata e io, fan numero uno dell’impero Disney e, ovviamente, con centinaia di gadget della Carica dei 101 sparsi per casa, decido che sarà lui il prescelto.
C’era stata anche l’idea di prendere un cane da lavoro, come un Border Collie o un Australian Shepherd, ma pensavo che si sarebbe abituato difficilmente alla vita di città, così come avevamo pensato di andare a canile, ma temevamo potesse capitarci un soggetto complicato e oltre la nostra portata: mai ci fu scelta più sbagliata.
L’arrivo di Forrest e i primi problemi
Optammo così uno degli allevamenti migliori del nord Italia, che eseguiva test e aveva dei bellissimi esemplari provenienti da alcune delle genealogie più importanti del Paese.
Il primo errore che facemmo fu scegliere il cucciolo tramite foto e video mandati dall’allevatore: con il senno di poi e con l’esperienza acquisita, mi pento terribilmente di questo atto di superficialità, ma purtroppo la struttura si trovava a tre ore di treno e non avevamo un’automobile a disposizione.
Quando il cane arrivò a casa eravamo davvero felici: Forrest aveva tre mesi ed era uno dei cuccioli più belli che avessi visto, con delle macchie perfette e, a detta dell’allevatore, anche il più tranquillo.
Fin da subito però notammo che le sue feci non erano normali, ma imputammo la problematica al viaggio appena fatto e allo stress subito per il distacco dalla mamma e dai fratellini.
Dopo pochi giorni Forrest mostrava sempre più disagio nell’uscire di casa: strattonava, ci faceva cadere a terra, tentava di scappare alla vista di qualsiasi persona, piangeva, sbadigliava di continuo, non riusciva a fare nessun bisognino fuori (fino all’età di cinque mesi) e non voleva interagire con i suoi simili.
In questo arco di tempo abbiamo provato di tutto: l’educatore di base, l’addestratore, il pet coach di stampo cognitivo relazionale, fino ad arrivare a un veterinario comportamentalista, il quale annuncia, dopo una visita di quattro ore: “il cane è fobico, ansioso, è nello spettro autistico e dovrebbe vivere in un contesto tranquillo”. In più, scoprimmo in seguito che aveva una patologia intestinale cronica, gestibile con una dieta particolare, medicinali e visite periodiche.
Quelle parole mi fecero crollare il mondo addosso: non sapevo come risolvere il problema, non avevo l’automobile per spostarmi dal centro città e non avevo alcuna reale competenza in ambito cinofilo per prendermi cura di un cane che aveva bisogno di tante precauzioni a me sconosciute.
All’inizio avevamo pensato di trovare per lui una famiglia più adatta, anche perché era un grosso impegno sia fisico, sia economico, ma per me sarebbe stata un’enorme sconfitta. Decisi dunque, grazie anche al supporto psicologico del mio compagno e alle conoscenze cinofile di alcuni amici incontrati proprio grazie a Forrest, di rimboccarmi le maniche e tentare di rendere felice il mio amato cane.
L’inizio del mio percorso da cinofilo
Impiegai alcuni mesi per mettere da parte i soldi, facendo la dog sitter, per recuperare la mia vecchia auto, trovare un altro appartamento lontano dalla città e per iscrivermi a un corso per educatori cinofili.
Non si trattava di una scuola vecchio stile, come quella a cui ero stata abituata io, in cui viene inculcata l’idea che il cane è inferiore e il padrone comanda a bacchetta, ma di un luogo di condivisione, dove si impara ad accettare, comprendere i difetti e ad accrescere i pregi e le motivazioni genetiche dei cani. Inoltre potevo finalmente studiare le basi dell’etologia e del comportamento animale.
Grazie ai miei insegnanti mi si è aperto un mondo: ho appreso davvero moltissime cose sui dalmata, (che non sono affatto cani da caccia o da compagnia, ma nascono come guardiani degli armenti), ho conosciuto tante persone che avevano le mie stesse difficoltà e soprattutto, ho scoperto come rendere felice Forrest.
Oggi viviamo in una zona meno isolata, abbiamo imparato a gestire il guinzaglio senza cadere a terra e ad accettare le paure del nostro cane. Nonostante io ormai sia un educatore cinofilo a tutti gli effetti, il mio percorso non è ancora concluso: il prossimo passo sarà riuscire a renderlo un vero e proprio lavoro, collaborare con i miei colleghi e aprire un centro dedicato.
Per quanto i problemi di Forrest mi siano sembrati insormontabili all’inizio, e talvolta ancora oggi durante alcune situazioni ho la stessa sensazione, probabilmente senza di lui non sarei mai riuscita a farmi coraggio e intraprendere, con l’approvazione di pochi, un viaggio verso l’esplorazione di un ambito lavorativo ancora poco apprezzato e conosciuto.
Vuoi saperne di più? Scrivici!
0 COMMENTI